Everest

Nel 1990 lo SPDT organizzò la spedizione internazionale himalaiana sull’Everest col patrocinio della Regione Friuli Venezia Giulia per celebrare il decennale dell’Alpe Adria. Alla spedizione parteciparono alpinisti sloveni e italiani di Trieste: Tatjana Grgič, Lenard Vidali,Davor Župančič, Dušan Jelinčič, Mauro Petronio e Marco Sterni e il carnico Sergio De Infanti mentre dalla Slovenia presero parte: Marija e Andrej Štremfelj, Silvo Karo e Janez Jeglič. La spedizione conquistò felicemente la cima dell’Everest (8848 m).
Il monte Everest è la vetta più alta della Terra con la sua altezza di 8848 m s.l.m.[1]. Assieme ad altri “ottomila” è situato nella catena dell’Himalaya, al confine fra Nepal e Cina, e rientra nelle cosiddette Sette vette del pianeta.
L’Everest attrae molti scalatori da tutto il mondo. Alla cima si ascende per due principali vie di arrampicata: una che si avvicina alla vetta da sud in Nepal (conosciuta come “via standard”) e l’altra da nord in Tibet.
Pur non ponendo sostanziali sfide tecniche di arrampicata sulla via standard, l’Everest presenta pericoli come il mal di montagna, condizioni meteorologiche estreme e vento, nonché insidie come valanghe e le cascate Khumbu. Molti corpi degli alpinisti che muoiono durante la salita rimangono sulla montagna.
Il monte è chiamato Chomolungma (“madre dell’universo”) in tibetano e Zhumulangma (pinyin: Zhūmùlǎngmǎ Fēng) in cinese. Il nome nepalese è Sagaramāthā (in sanscrito “dio del cielo”), ideato dallo storico nepalese Baburam Acharya e adottato ufficialmente dal governo del Nepal all’inizio negli anni sessanta.
Nel 1852 venne chiamato “Cima XV”.
Il nome comunemente usato oggi fu introdotto nel 1865 dall’inglese Andrew Waugh, topografo generale dell’India, in onore del suo predecessore sir George Everest, che al servizio della corona britannica lavorò per molti anni come supervisore dei geografi britannici in India.

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